Giulio Bertagna divulga

 

Percepire è apprendere o riconoscere. 

Ogni volta che entriamo in un ambiente, lo percorriamo, lo attraversiamo, la parte istintuale del 

nostro cervello analizza la situazione generale. Normalmente non ci rendiamo conto di questa analisi 

continua. Ne abbiamo invece consapevolezza in occasione di situazioni che per noi non rientrano 

nella normalità o ci mettono addirittura in crisi. Mentre ci guardiamo intorno una parte di noi cerca 

di capire dai segnali dell’intorno se sono presenti condizioni per nutrirsi, per procreare, per trovare 

momentaneo riparo oppure se sono presenti minacce o possibili pericoli. Potrà sembrare assurdo, 

ma questo è quello che fa il nostro cervello anche quando entriamo nel nostro ufficio o in casa 

nostra! Il cervello analizza ed effettua una comparazione tra ciò che già conosce e ciò che viene pre- 

sentato dalla situazione contingente, in considerazione di ciò che ci siamo proposti di fare. Cerca le 

differenze, le novità, il punto cospicuo, il segnale, interpretando l’ambiente secondo questi parametri 

primitivi ma efficaci. Poi il nostro filtro personale (esperienze, cultura, attese, situazione, eccetera) 

interviene a definire l’interpretazione finale.

 

 

Qui di seguito riassumo tutto il processo che porta la scena in percezione cognitiva, 

quella, per intenderci, che noi chiamiamo semplicemente percezione.

Innanzitutto non si può prescindere dalla luce, quindi dalla sorgente che va a illuminare la scena.

Il Sole, lo ricordo, è la sorgente elettiva per l’essere umano; un colore valutato alla luce solare viene

ritenuto “il vero colore” di un oggetto.

La scena vista viene analizzata dal cervello come “apparenza”, cioè senza che le aree 

corticali cognitive abbiano ancora espresso la collocazione emotiva del percetto. L’apparenza è inter- 

soggettiva e viene velocemente analizzata dalle aree più istintive del cervello, come l’amigdala e l’area 

limbica, verificando in pochi decimi di secondo se ciò che appare nella scena può costituire un pe- 

ricolo e innescando, se è il caso, meccanismi di protezione e allontanamento istintivi dall’elemento 

considerato pericoloso. 

Il cervello, in questo processo che deve per forza essere assolutamente rapido, commette spesso 

grossolani errori di valutazione; errori che gli perdoniamo volentieri perché in gioco c’è la nostra 

incolumità. Gli errori che il cervello può commettere possono riferirsi ai classici riferimenti atavici 

del mondo naturale (quando facciamo un balzo indietro scambiando la manichetta dell’acqua per 

una serpe), ma anche a riferimenti del mondo artificiale, quando c’è ambiguità nell’apparenza della 

scena o in un elemento della scena che ci appare come una minaccia, un pericolo, una situazione 

che metta a repentaglio il nostro compito all’interno di un certo ambiente. È da notare che, nella 

vita occidentale moderna può risultare ansiogeno e “pericoloso” anche il presunto insuccesso del 

nostro compito. Basta mettersi nei panni di chi non riesca a capire come trovare il proprio congiunto 

in un grande policlinico mentre si avvicina l’ora in cui i visitatori non sono più ammessi. 

Subito dopo l’esame sicurezza, il cervello analizza la scena a livello cognitivo, cioè avvalendosi dei 

referenti acquisiti nelle esperienze precedenti a seguito di una valutazione della situazione ambientale 

e sociale nella quale ci si trova e in base al motivo che ci ha portati a trovarci in quel luogo, in quella 

situazione. Quando mancano molti dati a disposizione della sfera cognitiva, ovvero quando i referenti 

sui quali basare il proprio giudizio e il comportamento sono scarsi o inadeguati alla situazione, è 

facile che si inneschi una dissociazione sensoriale con conseguente stato di tensione emotiva, ansia, 

difficoltà nell’orientamento e nella comprensione delle regole di comportamento richieste in quel 

dato luogo; si entra in pratica nel tunnel percettivo del rapport (verrà spiegato meglio in seguito). 

A seguito di questa analisi della situazione e del filtraggio dei referenti, il cervello replica un controllo 

istintuale di sicurezza, dopodiché ci fornisce la “nostra situazione reale”; la percezione cognitiva 

si è realizzata. 

 

 

Un progetto viene utilizzato in modalità polisensoriale. 

Anche dal solo aspetto visivo che il progetto esprimerà, l’utente potrà trarre un sistema di informa- 

zioni che determineranno non solo l’usabilità del progetto stesso, ma soprattutto quello che potremmo 

definire ”un immediato e inappellabile giudizio relativo alla qualità”. 

L’utente sarà spesso inconsapevole delle sue stesse conclusioni, ma il suo atteggiamento psicologico 

e il suo comportamento ne verranno fortemente influenzati. 

 

Le neuroscienze hanno ormai da anni (circa più di venti) dimostrato la strettissima connessione tra 

la sfera psicologica e quella fisiologica (trasduzione psiche-soma); ciò ha messo in evidenza quanto 

sia importante un giudizio positivo sulla qualità ambientale di un luogo al fine della omeostasi psi- 

cofisiologica, quindi del così detto benessere. Ma qui viene a proposito il concetto di affordance. 

L’affordance è l’aspetto fisico di un oggetto che permette all’utilizzatore di dedurne le funzionalità o 

i meccanismi di funzionamento. Più alta è l’affordance, più sarà automatico e intuitivo l’utilizzo di 

un dispositivo, di uno strumento, di un oggetto, ma anche di uno scenario artificiale in quanto si 

tratta di un sistema di oggetti la cui presenza ha sempre un significato. In questo caso potremmo 

parlare di affordance ambientale. 

Il concetto viene a proposito perché si basa sul noto, quindi su elementi artificiali che conosciamo 

ma che, evidentemente, abbiamo dovuto apprendere. Si pensi all’affordance di una maniglia per porta 

di tipo assolutamente classico, diciamo iconico; ha certo più affordance di una maniglia a pomolo 

sferico che ci suggerisce l’impugno ma non la necessità di mettere in rotazione un chiavistello invi- 

sibile, ma estendete la proprietà di affordance a una strada, a un quartiere, all’atrio di un luogo pub- 

blico. 

L’apprendimento spesso si basa sul noto, frequentemente sul simile e comunque sulla capacità del- 

l’essere umano di interpretare ciò che osserva, a partire dallo stesso ambiente nel quale si trova e 

dalla situazione contingente. Come e dove si è sviluppata questa “innata” capacità? 

L’ambiente naturale ha avuto un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle capacità visive e percettive.

L’essere umano è stato in grado di sopravvivere proprio grazie all’atto percettivo. 

Il saper riconoscere (ri-conoscere) in tempo situazioni potenzialmente pericolose o portatrici di vantaggi,

ha affinato la capacità percettiva dei nostri progenitori. Questa capacità, necessaria e vitale, si è 

sviluppata grazie al processo di adattività all’ambiente nel quale doveva vivere, cioè all’ambiente naturale. 

È convinzione della scienza che gli organismi viventi, nella loro evoluzione, abbiano sviluppato pro- 

cessi e strategie biologiche strettamente associate al loro ambiente (L. Ronchi cita Corth, 1983) e, in 

special modo, le caratteristiche dell’ambiente influiscono sulla struttura neuronale del sistema visivo 

(L. Ronchi cita Rudermann, 1997). Lucia Ronchi (La scienza della visione dal punto di vista delle 

scene naturali, Fondazione Giorgio Ronchi editrice), sempre citando Corth, sottolinea che per svariati 

milioni di anni i primati sono stati esposti alla luce diurna filtrata dalla vegetazione delle foreste; 

questa luce ha una distribuzione spettrale che presenta un massimo a 550 nm, proprio in corrispon- 

denza del massimo della curva di efficienza visiva (quella nostra, ancora attuale). 

Il nostro sistema percettivo (in sintesi moltissime aree cerebrali e recettori nervosi) ha quindi “imparato” a lavorare, 

configurandosi di conseguenza, sugli stimoli provenienti dall’ambiente naturale 

temperato (il più favorevole a una buona qualità della vita) che possedeva e possiede percettibilità

biologica (la vogliamo definire “affordance naturale”?), essendo dotato di forme, colori, configurazione 

spaziali tali da essere viste e percepite facilmente e velocemente grazie alle nostre 

innate capacità biologiche. 

Il cambiamento è una necessità psicofisiologica dell’essere umano legata ai suoi mutamenti biologici 

(crescere e invecchiare). La monotonia non è consona alle necessità dell’essere umano (monotonia 

significa anche una sola tonalità di colore). 

La configurazione quasi frattale dell’ambiente naturale sembra generare un apparente disordine, ma 

il disordine armonizzatoe la stonaturasono caratteristiche peculiari dell’ambiente naturale. 

 

Siamo in grado, senza affaticamento alcuno, di osservare moltissimi particolari, moltissime forme di- 

verse (variabili ambientali) man mano che ci avviciniamo a un’apparente uniformità, ma ogni foglia 

è diversa dall’altra anche nello stesso albero, nella forma e nel colore. 

L’osservazione di un albero frondoso coinvolge moltissime cellule specializzate; il cervello svolge 

una notevolissima attività senza alcuna fatica per osservare uno scenario che ha, per sua propria na- 

tura, un’ottimale percettibilità. L’adattività del genere umano ha “calibrato” il sistema visivo e per- 

cettivo su stimoli di questo tipo. Forse il marmo, come altri materiali naturali, è per noi “pregiato” 

perché ogni centimetro quadrato della sua superficie è sempre diverso, unico, come la corteccia del 

tronco di un albero, come una foglia, come il viso di una persona. 

Il nostri sistemi visivo e percettivo sono strutturati in modo tale per cui una certa complessità strut- 

turata e variabilità dello scenario osservato ci risulta più consona, potremmo dire “biologica”, perché 

più ricca di informazione da interpretare e da apprendere. È bene ricordare, infatti, che l’apprendi- 

mento è l’atto conseguente alla curiosità, una caratteristica vitale per l’essere umano come è bene 

ricordare, a proposito di progetto, che dietro ogni apparente ordine o disordine dell’artificiale 

c’è il preciso atteggiamento di qualcuno. I progettisti si sentano chiamati in causa!

 

Più elementi, un insieme, un sistema di “oggetti artificiali” configureranno quindi uno o più scenari; 

il ruolo professionale del perception designer sarà quello di collaborare al progetto con designers, 

architetti, ingegneri, affinché questi scenari siano in grado di comunicare, (quindi di essere percepiti 

e utilizzati dall’utenza) nel modo più veloce e intuitivo possibile; le sue sensibilità di progettista, ma 

anche la sua preparazione specifica gli forniranno gli strumenti per conferire allo scenario le corrette 

caratteristiche di percettibilità e di affordance mettendo così in maggiore rilievo l’identità del progetto 

a beneficio degli utenti e dei progettisti stessi.

 

 

Rifacendoci all’ambiente naturale, è utile analizzare le caratteristiche percettive del campo di os- 

servazione(successione di “campi visivi”).  Nella nostra visione stereoscopica (ma anche in visione 

monoculare per la diversa messa a fuoco e per altri indizi percettivi) possiamo notare che in un 

campo di osservazione,  ovvero tutto ciò che siamo in grado di esplorare visivamente con i movimenti 

oculari (passando in rapida sequenza da un campo visivo a un altro), i diversi elementi si configurano 

come appartenenti a diverse quinte. 

Possiamo definire quinta di profondità il luogo di diversi elementi della scena posti a una 

medesima distanza media dal punto visuale in cui ci troviamo. 

Le quinte di profondità ci forniscono l’informazione necessaria per renderci conto della nostra posi- 

zione all’interno del contesto ambientale (propriocezione ambientale). Il nostro spostarci all’in- 

terno del contesto nel quale ci troviamo, porterà variazioni coerenti nella configurazione delle quinte 

di profondità. Queste variazioni di configurazione saranno alla base del nostro apprendimento del 

contesto, quindi del paesaggio, dello scenario; ci forniranno la capacità di riconoscere il luogo, di 

orientarci, dunque di sapere dove siamo e questa consapevolezza, lo ribadisco, è molto importante 

per poterci trovare in equilibrio ecologico. 

La restituzione grafica del concetto di “quinte di profondità” è facilmente individuabile nella pittura 

paesaggistica e nella scenografia. Il concetto di “rapporto figura-sfondo” viene, in questi casi, quasi 

forzatamente articolato in modo consono al nostro sistema percettivo per aiutare la nostra immagi- 

nazione a farci apparire più reale possibile la scena proposta.

 

Presa in considerazione ciò che definiamo figuranon possiamo non considerare l’articolazione com- 

plessa dello sfondo, spesso costituito da molti elementi posti a diverse distanze e aventi diversi ruoli, 

significati, funzioni. Lo sfondo sarà spesso costituito da una serie di quinte di profondità, l’ultima 

delle quali potremmo definire fondale. 

La propriocezione ambientaleè per noi una sensazione fondamentale per 

orientarci. Orientarsi è un’attività percettiva basilare che ci consente di sapere 

da dove siamo arrivati in un certo luogo, come fare per proseguire l’esplorazione 

o il transito nelle zone adiacenti al punto in cui ci troviamo, conoscere meglio 

il luogo e i rapporti spaziali che detto luogo ha con le adiacenze, ma prima di 

tutto individuare le aree di potenziale pericolo, di fuga, di protezione, di vantaggio.

(Mentre leggete non immaginate di essere in montagna durante le vacanze,

ma all’interno di un grande ospedale). La configurazione di uno scenario 

è costituita non solamente dai diversi elementi, ma anche dal loro rapporto 

spaziale e dalla loro organizzazione in quinte di profondità. 

Come già detto, un aspetto del paesaggio naturale (così come di quello antropizzato

o di tutti gli interni) è l’esistenza di un fondale che nasconde altri paesaggi, altri scenari.

Il nascondimento operato da qualche elemento della quinta di profondità, la più 

lontana o ultima identificabile, che chiameremo appunto fondale, è del tutto accettato

psicologicamente come limite spaziale di interesse. Può essere determinato, per esempio, dalla foschia che 

da una certa distanza in poi ci impedisce di vedere dettagli lontani, oppure da un monte o dall’orizzonte.

Ciò che è troppo lontano da noi può rientrare nella nostra pre-visione, ma non può essere 

esplorato immediatamente. Il nostro interesse vitale è soprattutto focalizzato sullo spazio

immediatamente vicino e controllabile, mentre la necessità di orientarci si basa sulla possibilità di vedere, se 

si può, più lontano possibile. Possiamo quindi concludere che le nostre necessità biologiche ci im- 

pongono di avere la possibilità di un controllo percettivo di prossimità e un controllo percettivo 

di profondità. 

...

 


 

18 Aprile 2012

Il colore predomina sulla forma. Ora vi spiego il perché.

 

Il colore è sempre stato considerato e spesso lo è ancora come un aggregato, un belletto, un nascondimento, una decorazione aggiunta, una caratteristica del materiale della forma. Spesso è stato negato, rifuggito, esprimendo la purezza della forma con il bianco, che, paradossalmente è un colore! Il bianco è oltretutto un colore abbagliante, le cui parti in ombra non possono che essere grigie. Forse la scelta del bianco, erroneamente chiamato “non colore”, si deve al fatto che un tempo, quando si progettava usando carta e matita, il fondo era bianco, la grafite nera. La forma risultava delineata e ombreggiata dalla grafite ed emergeva dal fondo solo grazie al profilo e alle ombreggiature. Così, valutabile nella sua essenzialità progettuale, senza necessità di aggiungere nulla. Il bianco come espressione della forma è anche derivato dagli abbagli del neoclassicismo e da quanto scritto poco innanzi, espressione del movimento moderno che considerò il colore alla stregua di accento da esprimere con i colori ritenuti primari; quei tre colori che, con il bianco, davano a ogni buon pittore la possibilità di creare qualsiasi altro colore e sfumatura, il nero compreso. Dico “ritenuti primari” perché il mondo dell’arte, anche dopo Newton, ignorava o voleva ignorare, ciò che la scienza, nel frattempo stava scoprendo e divulgando. L’unico punto di tangenza lo troviamo nell’esperienza di Ogden Rood il quale, con il suo “Modern Chromatics” del 1879 coinvolse gli impressionisti e soprattutto i post-impressionisti, i puntinisti, come Seurat, Cross, Signac e i divisionisti come Segantini, Morbelli, Pellizza e poi ancora Previati, Nomellini, il primo Severini e il primo Balla (cit. Corrado Maltese 1986). Circa venticinque anni fa nascevano le neuroscienze, forse giustamente poco considerate dal mondo dell’arte, ma paradossalmente ignorate anche dall’architettura e dal design, pur nella loro vocazione di progettare a misura d’uomo, intorno all’uomo, per l’uomo.

 

Dunque è venuto il momento di fare chiarezza, di mettere un punto che, lo si voglia ignorare o meno, deve essere messo per onore di evoluzione culturale. 

 

Per chi voglia acculturarsi o aggiornarsi su fisica e neurobiologia, che hanno fornito nuove e solide basi per comprendere il fenomeno della visione, della percezione e del fatidico colore, esistono molti libri e trattati scientifici, alcuni di non facile reperibilità. Con il collega Aldo Bottoli ho scritto un saggio “Perception Design, contributi al progetto percettivo e concetti di scienza del colore” edito da Maggioli Editore, dove abbiamo cercato di porgere al mondo del progetto quei concetti di antropologia, sociologia, storia e filosofia moderna (Aldo Bottoli), fisica ottica, neurofisiologia e psicofisica (Giulio Bertagna) utili da “riportare a progetto”, oltre a indicazioni e suggerimenti utili per saper gestire e progettare il colore in ogni ambito del progetto. Questo libro che spiega per prima cosa “che cos’è il colore” può essere un utile scorciatoia che consiglio vivamente.

 

Detto questo, si consideri che la nostra visione funziona solamente in presenza di luce. La luce che colpisce un oggetto, viene elaborata dalla superficie dell’oggetto stesso (dagli elettroni presenti sulla sua superficie nella così detta interazione luce-materia), quindi viene emessa nuovamente verso l’esterno (si dice impropriamente riemessa o peggio riflessa). La luce emessa dall’oggetto avrà dunque caratteristiche diverse da quella arrivata sull’oggetto. Potremmo definirla luce selettivata. Questa luce selettivata, proveniente dall’oggetto, entra negli occhi dell’osservatore e finisce sulle retine, dove viene assorbita totalmente scatenando le diverse risposte dei fotorecettori, tra i quali i bastoncelli e i coni. I coni non leggono i colori, perché il mondo è in bianco e nero, ma leggono le diverse luminosità delle diverse lunghezze d’onda o frequenze della luce che li colpisce e questo secondo le diverse loro sensibilità. Il cervello, poi, in base alla risposta dei coni, elabora diverse sensazioni, sensazioni alle quali abbiamo dato diversi nomi, i nomi dei colori.

Risulta dunque evidente che noi vediamo gli oggetti grazie alla luce che arriva dalla loro superficie. Una certa porzione di superficie, per esempio, potrebbe darci la sensazione di rosso, un’altra di grigio chiaro e così via. Lampante quindi che sia il colore dell’oggetto a rendercelo visibile e interpretabile, ovvero percettibile. Sì perché la visione è una cosa, ma all’atto visivo il nostro cervello fa seguire immediatamente un complesso atto di acquisizione dati e comprensione-collocazione degli stessi: la percezione cognitiva. Il cervello vuole capire di che si tratta, esige una spiegazione ai fini della nostra stessa sopravvivenza e per poter elaborare istantaneamente una nostra risposta comportamentale e di giudizio. In una frazione di secondo dobbiamo vedere, comprendere e comportarci di conseguenza. Tempi più lunghi potrebbero esserci fatali. Il cervello umano lavora così ed esige dunque chiarezza, coerenza ed immediatezza. Lo imparò grazie alle esperienze dei nostri predecessori, all’interno dell’ambiente naturale temperato, nei boschi. Posso vedere una foglia gialla grazie al suo “giallo”, posso vedere una foglia fresca grazie la suo “verde”. La foglia gialla è morta, la foglia verde è viva. La forma delle due foglie è molto simile e non supporta, da sola, alcun indizio. Il colore rende visibili gli oggetti e ci comunica immediatamente qualcosa, i significati.

Il colore è forma. Il colore è significato. Il colore è forma.

 

Giulio Bertagna


Contatti

Giulio Bertagna


www.giuliobertagna.it


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328.3597205



 

Professional experience:

 

From 1973, devoted myself mainly to interior design, working with several furniture showrooms. I opened my own business of interior design in 1975.

I participated actively in the AIPi membership, Italian Association of Interior Architecture in Milan, of which I was Vice President from 1982 to 1984. I was the AIPi representative at international conferences of interior architecture in Madrid (1982) and Hamburg (1983). I was a member of the AIPi Executive Committee for eight years.

After several experiences within the product and graphic design, which was particularly important in the conscious use of color, I devoted myself since 1984 to this issue as a researcher and consultant. I did research on the criteria necessary for the use of color in different projects. This criteria based on electromagnetic interactions of light with the neuro-psycho-physiologic system.

I introduced and developed the "applied chromatology" as a new method for the design of color and perception, complementing the classical culture of artistic and philosophical investigation with emphasis on physics, neurophysiology, psychophysics of vision and psychophysiology.

I performed many experiments to test color inductions on physiological reactions of human beings. To compliment and consolidate my studies, I’am recognoised by several authoritative figures in the field of optical physics, psychophysics, neurophysiology and of the scientific research on perception and color.

 

In 1992 I prepared for Italian Railways, the color project, then realized, for the railway viaduct in Recco (Ge), the first case in Europe. In 1993, I addressed the theme of the visual environment with the first "Perceptive redevelopment plan" for Iplom refinery in Busalla (Genoa) which was to be followed, in 2000, by the "General plan of perception redevelopment", laying the groundwork for new attention and sustainable solutions for the environmental impact of industrial development.

In 1995 I was commissioned by The Fiat Auto group for research on the color of the car habitat, to optimize driver comfort and psychophysiological conditions.

I collaborated on the color project of the new Punto and of the Multipla. During my research, I developed the theme of "biological perceptibility" and introduced new concepts to guide the perception project, where the brain phenomenon of color is closely related.

 

In 1997 I organised "ColorShow", a system of educational entertainment on color (Saiedue'97 in Bologna and Farbe 2000 in Cologne) together with Aldo Bottoli with which, in the meantime, we founded B&B Color Design ( Giulio Bertagna, Aldo Bottoli & Partners), located in Biassono (MB) near Milan.

B&B Color Design involved creating cultural centers of excellence for applied research on chromatic and perceptive projects, renamed "Perception Design".

In 2003, we founded Osservatorio Colore Paesaggio in Genoa, still active as an Itinerant Research Center that collaborates with various faculties of architecture and design.

The second research center was inaugurated in Lissone in November 2009 and deals with perception in the interior design for collective use such as hospitals, nursing homes, schools, communities in general, public offices. Osservatorio Colore Paesaggio is administered by the Fondazione Colore Liguria, our Osservatorio Colore Interni (interior color design) in Lissone, is administered by the Fondazione Colore Brianza (www.osservatoriocolore.it)

 

Teaching

 

Former professor of Perception and Color at the Scuola Politecnica di Design (SPD Milan) and at the Institute of Architecture and Design (ISAD Milan) and after many lectures as visiting professor, since the academic year 2002/03 I was Lecturer in Perception and Colour at the Politecnico di Milano, Faculty of Design where I taught for six years.

 

Lectures, conferences, articles, essays

 

I write articles about color on architecture and design trade journals; have lectured at the Academy of Krakow Jana Matejki Wzornictwa and Przemyslowego Institute of Industrial Design in Warsaw. Perform training courses organized by Polidesign, University Consortium Politecnico di Milano. Speaker at International Congress in May 2008 "The hospital of the third millennium" in Alba (Cuneo), introducing the new design concept of "perception design" in therapeutic areas.

 

As a researcher I am engaged, with my colleague Aldo Bottoli, in the disclosure of a new culture of Color Project dedicated to designers and architects. Scientific, methodological and procedural research on the environmental perception design is the area of my interest and expertise.

 

In December 2009 I published my first essay: "Perception Design" with Aldo Bottoli, edited by Maggioli Publisher, targeted primarily at professional and academic education.

 

Education and training:

 

My early training was divided between humanities and technology, followed by the Faculty of Architecture in Milan and then I went on to study in France under the expert training of an interior architect; after the necessary studies and after reaching the level of education and training, in 1984 I passed the state examination at the Office Professionnel de Qualification des Architectes d'Intérieur in Paris, earning the title of architecte d'interieur (Directorate of Architecture and Heritage of the French Ministry of Culture).

I’am a member of the Conseil Français des Architectes d’Intérieur (CFAI).

Since 1984 I dedicated myself to the research on the perception design, finding encouragement and guidance of eminent personalities from academia. To date I have built approximately 27 years of research and experience on the topic of color and perception design with a scientific approach approved by academics, professionals,and many industries in Europe. I have been supervisor for two thesis degrees in interior design for the color-perception project of a kindergarten and long-distance ferries.

 

 

Principal subjects / occupational skills covered:

 

Graphic and pictorial representation of architecture, interior design, color as a scientific subject related to physics, neurophysiology, psychophysiology and psychophysics of vision. Color projects concerning redevelopment plans of first and second world war buildings, road infrastructure and technological services, large commercial buildings and industrial plants. Perception design projects for the humanization of schools, hospitals and places of collective activity.

 

Advice for identifying colors and folder organization samples for large manufacturing companies. Color perception and consulting for the automotive and design in general.

 

 

Main references:

 

Companies:

Fiat Auto | Ferrovie dello Stato | Akzo Nobel | MaxMeyer - Duco | Mondo | Genova Acque | Erg | Iplom | Consorzio Vera Pelle Italiana Conciata al Vegetale | Ospedale San Bortolo di Vicenza| Ospedale San Martino di Genova | Comex Group Mexixo | Nuovo Ospedale di Alba-Bra di Verduno (Cn)...

 

Municipalities and Province:

Municipality of Genoa | Municipality of Milan | Municipality of Vasto | Municipality of Chiavari | Municipality of Rapallo | Municipality of Rozzano | Municipality of Amalfi | Municipality of Gattinara | Municipality of Tremezzo | Municipality of Cucciago | Municipality of Menaggio | Municipality of Pieve Ligure | Municipality of Ne | Municipality of Monza | Municipality of Lissone...

Province of Vercelli| Province of Monza e Brianza...

 

 

More information:

Professional subscriptions, tasks and roles

 

CFAI, Conseil Français des Architectes d’Intérieur, Paris.

Member of the Centro Interdipartimentale Colore e Arte, Dip. di Psicologia Generale, Padova.

BEF/IACC, European Association of Colour Designers, Geneva.

Professor of Perception and Color, Faculty of Design, Department of Politecnico di Milano Indigo.

Scientific Director and Project Monitoring of Color Observatory.